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Khady Touré e il fragilismo

"La forza della fragilità", di Khady Tourè, non è un romanzo e non è un racconto e nemmeno una storia. È un frammento di frammenti.

Il libro, pubblicato da Marino editore nel 2019, consta di nove capitoli: non dieci, otto o cinque; nove non è un numero tondo ma un multiplo dispari. Tre volte il numero di dio, la trinità: è il dispari del mondo.

Di un certo mondo, del suo mondo in cui si distinguono gli uomini e le donne di nebbia che tratteggiano una biografia che è solo lo spunto dei pensieri. Pensieri la cui fonte non sono solo le vicende narrate ma soprattutto quelle non raccontate. Un frammento che allude e ne significa molti altri: non narrati ma facili da immaginare. Nel leggere la vicenda esterna e in qualche modo fisica della protagonista si avverte che quella vita di cui si parla non sta affatto tutta lì. È una vicenda senza tempo, nella quale non c'è cronologia. Non c'è un motivo vero per cui il capitolo quattro è prima del capitolo cinque. Perché quello che interessa l'autore non è il fatto: è il pensato! Pensato anche come sentito e anzi pensato perché sentito.

"La forza della fragilità" è scritto come se fosse una grande opera, come "L'uomo senza qualità" di Musil o le "Memorie dal sottosuolo" di Dostoevskij. Forse c'è un po' di presunzione in questo ma il risultato è più di una prova letteraria, molto più di un tentativo.

Il libro è gradevole e si fa leggere con piacere anche se non si condividono molte delle idee espresse: perché ne si comprendono i sentimenti. Spesso tristi, anche se giovani. E danno una sensazione di verità che è sempre una menzogna in una fiction.

Il libro è apparso in una collana dedicata ai giovani ma che dovrebbero leggere soprattutto i vecchi perché si sono dimenticati di aver vissuto: per questo il racconto si presenta come flashback di una anziana signora - ed è probabilmente l'unica vera bugia di tutto il libro.

Devono leggerlo i vecchi non solo per la loro memoria ma, soprattutto, per la loro salute: una freschezza è quella certa verità che i giovani non sanno di avere e i vecchi si sono dimenticati di avere avuto. Le fughe d’amore non sono per niente “d’amore”, ma fughe sì, strade sì, vie sì: sentieri interrotti, per parafrasare Heidegger.

Ma perché cominciare proprio con una bugia? Per tentare di fare credere che anche tutto il resto lo sia. Tentativo fallito: non ci crede nessuno che tutto sia falso in un libro in cui quasi niente lo è.

Anche il titolo bluffa: vorrebbe suggerire che la vicenda umana, pensata e sentita nel libro, sia una forma di fragilità e non lo è. Si fa finta di essere fragili per farsene una forza ma non è fragilità ne forza: è ciò che è, perché è.

Essere è pensare e sentire ed è ciò che questo libro è: pensare e sentire.

Tutto qui.

Infine, è un libro impudico. Khady Touré non si vergogna di sé. E questo è una gran cosa. Perché la protagonista del racconto non ha quasi mai ragione, né lei lo pretende: ha torto marcio e lo sa. L’impudicizia sta nell’averlo detto, nel non aver avuto paura di mettere in piazza passione e pensieri. Questa impudicizia potrebbe sfiorare la pornografia ma non lo fa: la rasenta, è al bordo del dicibile e per percorrere quella strada ci vuole coraggio e presunzione.

I giovani hanno spesso il timore o la voglia di essere “diversi”: dai loro genitori, dai loro coetanei. Un tratto caratteristico della gioventù è appunto la costruzione di una identità. Questa costruzione costa emotivamente parecchio e la protagonista del racconto, quel costo lo paga tutto. Ciononostante “La forza della fragilità” non è un romanzo di formazione: l’autrice, e la sua protagonista, sono già ben formate al momento in cui parte la narrazione e per questo si presenta come flashback di una donna anziana. I giovani hanno voglia di essere diversi e lo sono, tanto che lo sappiano tanto che non ne abbiano coscienza. Pensano di essere gli unici a provare quelle emozioni, a pensare quei pensieri, a sentire quello che sentono. E invece, da almeno tre millenni, sanno ciò che so io, provano le emozioni che provo io e sentono quello che sento io. Per questo, anche, è un libro per vecchi: perché anche noi lettori siamo quel grumo di sentimenti lì, quei pensieri lì, quelle sensazioni lì. Khady Touré non ha avuto timore di scriverle lì: questo è coraggio. E questo è l’impudicizia: il coraggio di dire quello che tutti sanno, sentono, pensano ma tutti si vergognano di sapere, sentire, pensare.

“La forza della fragilità” dice quello che tu stesso, lettore, sei!

 

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